Le signorine della banca

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Copertina dell'inserto La donna all'interno della rivista «I Mesi» (dicembre 1974) edita dall'Istituto.

«E’ aperto un pubblico concorso per esami a venti posti di applicato. Possono parteciparvi anche le signorine, nel limite massimo di un decimo dei posti messi a concorso». Esse «non potranno raggiungere grado superiore a quello di semplice impiegato, e il loro matrimonio risolve senz’altro il contratto di locazione d’opera».
Il concorso indetto dalle Opere Pie di San Paolo risale al 1920 ed è una delle prime attestazioni di una comunicazione rivolta espressamente anche alle donne, in un momento in cui la loro presenza all’interno dell’Istituto inizia a divenire rappresentativa. In tutti i paesi belligeranti del resto moltissime donne erano entrate nel mondo del lavoro, nelle fabbriche e nei campi, per sostituire gli uomini richiamati al fronte. Il Regolamento del personale della banca del 1933 rileva chiaramente i presupposti del lavoro femminile di questi anni: una donna poteva occupare solo i gradi di alunna o di applicata, i ruoli più bassi nell’ambito del personale amministrativo-contabile, quindi a tempo determinato, con la possibilità di essere licenziati a fine contratto senza motivazione, e generalmente terminava il proprio incarico con le nozze, non essendo prevista l’assenza per gravidanza, ma solo l’aspettativa per motivi giustificati di famiglia, cosa che comportava la cessazione dell’erogazione dello stipendio, in generale più basso della media.
Questo trattamento era coerente rispetto alla considerazione stessa della donna e della sua attitudine al mondo lavorativo. Un cambiamento rilevante si riscontra qualche anno più tardi, nel 1936, quando nel nuovo Regolamento per il personale, compare per la prima volta l’articolo «Gravidanza e puerperio», in linea con la politica sociale e demografica di quel periodo.
Il percorso verso l’uguaglianza è molto lungo: bisogna attendere la fine degli anni ’70, per trovare sancito in una legge non il solo concetto di tutela delle lavoratrici, ma l’attuazione, almeno formale, della piena parità di trattamento in ambito lavorativo di uomini e donne.