Donne protagoniste

La Compagnia delle Umiliate e le benefattrici

Spazi di potere, in verità, non mancavano. In assenza del re, le principesse governavano; a corte le dame gestivano le pratiche devozionali e l’educazione dei figli; all’interno delle casate nobili e patrizie, le madri e le vedove fungevano da tutrici e curatrici patrimoniali; in qualche fondaco, le consorti dei mercanti facevano affari. Fu soprattutto in seno alla corte e alla Chiesa che la figura femminile trovò una dimensione di relativa libertà espressiva e fu in quei contesti che poté agire promuovendo culti, beneficenza e patronage artistico. L’Europa barocca fu tutto un pullulare di associazioni di consorelle pie capaci di attivare forme di assistenza per le più meritevoli o le più disagiate.

Tutta femminile la storia della Compagnia dell’Umiltà o di Sant’Elisabetta, attiva a Torino per quasi quattro secoli annoverando quasi 2000 socie. Fondata in ambienti vicini alla corte sabauda e alla spiritualità gesuita, ebbe quale patrona santa Elisabetta d’Ungheria, tipico culto dinastico diffuso tra le sovrane del tempo. Tra le sostenitrici principesse sabaude e dame di corte ma anche esponenti dell’élite urbana legate ai confratelli della Compagnia di San Paolo, di cui sembrerebbero costituire il corrispettivo femminile. Si estinse agli inizi del Novecento. Tra le Umiliate si annoverano anche benefattrici illustri delle opere della Compagnia che si adoperano in elemosine ai malati e sussidi dotali, attraverso cui molte ragazze trovarono un impiego da operaia (specialmente nel tessile), un consorte e una casa.

«Avvedutezza di senno, dolcezza di carità, zelo de’ prossimi, fervore di devozione e di spirito».

Così sono descritte sulle pagine dell’Istoria della Compagna di San Paolo del 1701 le fondatrici della Casa del Deposito, Margherita e Anna Maria Falcombello, due sorelle «uniformi d’indole, di abilità, di affezioni e di virtù», doti che manifestarono nella loro attività sociale. Nata ad Avigliana nel 1633, Margherita mise a disposizione parte della sua stessa abitazione per ospitare la Casa del deposito. Sono «la virtù cristiana della prudenza e della pietà» ad animarla e a farle decidere di dedicare tutta se stessa alle giovani ospiti, servendo loro come «madre e come maestra». La sorella Anna Maria si unì a lei nella direzione: le loro capacità nella gestione e la dedizione nell’assistenza delle ragazze in difficoltà erano dimostrate sia dal numero di donne «toltesi a’ pericoli e dagli scandali», sia dal «notabile miglioramento di vita e di costumi» che si poteva scorgere nelle ospiti, per le quali si cercava una sistemazione in matrimonio, oppure anche un lavoro, ad esempio come domestica. Educata dalle monache della Visitazione di Pinerolo, Margherita chiese che il suo cuore venisse conservato in quel luogo alla sua morte, avvenuta il 29 novembre 1686: forse proprio il ricordo positivo della vita comunitaria che aveva segnato la sua giovinezza ha ispirato la sua attività nella Casa del Deposito, a cui consegnò tramite il testamento un «ultimo pegno del suo amore», un legato per la creazione di un posto permanente per una ragazza in difficoltà. Alcuni anni più tardi, nel 1691, sarà la sorella Anna Maria a lasciare un importante lascito di 4000 lire, insieme alla biancheria e alle provvigioni di grano, vino e legna presenti nella sua casa al momento del decesso.

Sempre più, agli albori del XVIII secolo, alcune aristocratiche si affacciavano sulla scena dell’opinione pubblica divenendo animatrici di salotti e accademie, secondo un fenomeno che non fu solo di costume, ma di natura intellettuale. Il concetto illuministico di uguaglianza riguardava ancora, per lo più, il solo genere maschile e il confronto fra i popoli del mondo. Ma già nel 1673 il trattatista Poulain de la Barre aveva pubblicato De l’égalité des deux sexes e nel Settecento riformatore più maturo alcuni, come Condorcet e Madame de Stäel, si esposero affinché le donne potessero votare e avessero voce in politica.